La varietà di contesti lavorativi e formativi in cui ho operato ha arricchito profondamente la mia esperienza personale e il mio approccio alla relazione d’aiuto. Nel corso degli anni, ho compreso che la chiave per entrare in sintonia con una persona, una famiglia o un gruppo consiste nel rispondere ai loro bisogni e alle loro richieste attraverso un percorso co-costruito e condiviso, che valorizzi l’unicità e le risorse di ogni individuo coinvolto.
Questa visione si integra perfettamente con l’approccio costruttivista di George Kelly, il quale considera la persona come uno “scienziato”, ovvero un attivo costruttore del proprio mondo, impegnato a conoscerlo e interpretarlo attraverso la costruzione e la verifica di teorie, per dare senso alla propria esperienza, al modo in cui percepisce il mondo e vive le relazioni.
In questo contesto, la relazione d’aiuto non è vista come un rapporto “top-down”, in cui la conoscenza professionale prevale sul vissuto personale del paziente. Al contrario, terapeuta e paziente navigano insieme nella stessa barca: “Il cliente … il terapeuta si imbarcano insieme come compagni di navigazione nella stessa avventura” (Kelly, 1958, p. 232). Per raggiungere il porto sicuro, è essenziale che entrambi i navigatori collaborino in sinergia e si rispettino reciprocamente.
Per spiegare meglio questa prospettiva immaginiamo di essere dei navigatori in mare aperto, con la nostra barca come unica compagna di viaggio. Ogni giorno, tracciamo rotte, ci orientiamo con le stelle e cerchiamo di comprendere il vasto oceano che ci circonda. La nostra mappa non è mai completa; la aggiorniamo costantemente, aggiungendo dettagli, correggendo percorsi e cercando nuove rotte per arrivare a destinazione. In questo modo, costruiamo il nostro mondo, esplorando e interpretando le acque che attraversiamo.
Con il tempo, però, potremmo imbatterci in tempeste improvvise o trovare che i venti che ci hanno sempre guidato ora non soffiano più nella direzione giusta. Le vecchie rotte, una volta affidabili, sembrano non condurci più dove desideriamo andare, lasciandoci disorientati e incerti su come proseguire.
In questo contesto, il “sintomo” può essere visto come un segnale che la nostra bussola interiore non è più calibrata correttamente per il momento attuale. È un segno che il nostro modo abituale di navigare non è più adatto e che è necessario rivedere le nostre mappe e strategie per ritrovare una rotta più adeguata.
La terapia, in questa prospettiva, è come un porto sicuro dove possiamo fermarci a riflettere, riparare la nostra barca e aggiornare le nostre carte nautiche. Qui possiamo sperimentare nuove rotte, imparare a leggere i venti in modo diverso, o persino scoprire nuovi strumenti di navigazione. È un’opportunità per ritrovare la direzione, rinnovare la fiducia nel nostro viaggio e riprendere il mare con rinnovata energia, senza sentirci più alla deriva.